REPORTING FROM THE FRONT (BIENNALE 2016)
Immergersi nella Biennale di Architettura di Venezia è sempre un’esperienza contrastante: per gli addetti ai lavori il rischio maggiore è quello dell’estrema meraviglia e al contempo quello della massima insoddisfazione. Il punto è capire cosa ci si aspetta da una rassegna che, a seconda del curatore, tocca alti e bassi della “cultura” che ruota attorno al mondo dell’architettura globale. Con Aravena di sicuro quest’anno si voleva uno strappo definitivo col mondo delle archistar e, almeno sulla carta, questo è accaduto nella misura in cui i “grandi progetti” sono stati presentati sottotono, non gridati ma quasi sussurrati per non “dar fastidio” alle opere di architettura partecipata-eco-solidale-riciclocentrica.
E’ anche vero che già con l’assegnazione del Pritzker si era intuito che qualcosa stesse cambiando all’interno dell’establishment dei grandi nomi dell’architettura mondiale.
A ben vedere, il punto di vista di Aravena è assolutamente pragmatico ed in questo mette tutti di fronte all’orizzonte etico del mestiere dell’architetto, facendo un ulteriore passo in avanti oltre i fondamenti della Biennale di Koolhaas, al quale bisogna riconoscere di aver capito la necessità di un ritorno quantomeno alla comprensione degli elementi fondanti della disciplina.
In questa biennale il valore etico del progetto architettonico non prescinde ovviamente dalla qualità formale ma gran parte dell’esperienza viene vissuta attraverso una sorta di ritorno alla “semplicità” della costruzione: non credo che i materiali “naturali” svelati all’arsenale ed impiegati nei progetti salveranno il mondo occidentale, che vive della sua complessità architettonica, ma di sicuro fanno capire ai più che quello che noi conosciamo direttamente non è il solo “mondo” esistente.
Anche in un mondo globalizzato come il nostro, del quale crediamo di conoscerne ogni possibile sfaccettatura, i filmati raccolti da Aravena esercitano un fascino particolare che ben documenta quanto siamo ancora lontani dal capire a fondo le reali tematiche legate ai profondi cambiamenti del nostro pianeta. Anche Aravena è figlio della sua cultura ed il suo punto di vista è ovviamente quello di chi lavora giorno dopo giorno contro le avversità di città che si espandono per periferie degradate: non capirlo ora, per noi, significa semplicemente ignorare quanto sta accadendo nemmeno tanto lentamente sotto i nostri occhi.
La scelta di Aravena come curatore è stata sicuramente una scelta azzeccata dal punto di vista della comunicazione: chi meglio di lui interpreta oggi l’architettura del sociale? Siamo passati dalle “archistar” alle “archistar impegnate nel sociale”: se per alcuni è un trend necessario per attirare i riflettori su di un comparto notoriamente in crisi per altri è un cambio di rotta nella percezione del panorama architettonico mondiale.
Comunque vada, un passo avanti [?].
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4 Ottobre 2017 16:18