DA TOPOS AD ICONA
Nelle opere dell’uomo abbiamo elementi che a diversa scala sono riconducibili al concetto di archetipo. Nell’architettura costruita che cosa è un archetipo se non la trasposizione materiale di un’idea che siamo consci possedere da sempre? Le forme primitive, il cubo, la piramide o la sfera sono elementi primordiali dei quali ne riconosciamo ingombro, volume e rimandi iconografici.
Lo stesso accade per gli archetipi architettonici: la torre, oggetto che identifica una posizione e la evidenzia rispetto al territorio; il ponte che mette in relazione due luoghi tra loro divisi; le mura, recinzioni e difesa, costruite per tener fuori o custodire al proprio interno; il vuoto, la piazza, centro e fulcro del costruito.
Anche nell’architettura moderna, ogni archetipo è fatto dall’uomo per l’uomo: ogni singolo elemento costruttivo è un atto di controllo nei confronti dell’alieno. L’archetipo è forma e funzione: la colonna è un archetipo, così come l’architrave, la chiave di volta e la pietra cantonale. “Elementi” (vi ricorderete nella biennale di architettura del 2014 di Khoolaas il padiglione “Elements of architecture” ) che ritroviamo diversi e codificati a seconda del periodo storico nei quali sono stati creati. Mattone, muro, casa, città: archetipi, e mi ripeto, dell’uomo per l’uomo: il fine ultimo degli architetti. Ovvero costruire per agevolare altri esseri umani. Che cosa è l’architettura se non l’agire in funzione di una necessità? Senza di questa il costruire è inutile. L’archetipo viene meno ed è solo simulacro: finzione costruttiva per mascherare altri intendimenti. Esiste quindi un costruire in sé “sbagliato”? Probabilmente no. L’atto formale è un segno dei tempi, della società nella quale opera l’uomo.
TRA ARCHITETTURA MODERNA E CONTEMPORANEA
E’ creazione del pensiero dell’uomo, e, in fin dei conti, della sua personale predisposizione nei confronti del prossimo. Scuola e maniera dovrebbero sempre lasciare spazio all’agire dell’architetto in funzione degli altri essere umani.
Il fatto che esista un archetipo funzionale all’uomo non vuol dire che questo non possa evolvere in altro oggetto: l’archetipo è tale perché è punto di riferimento, idea stessa in divenire. Il costruire dell’architetto è il sintomo visibile della civiltà che lo circonda, per quanto tenti di discostarsi dal pensiero comune creando differenti maschere formali, l’architettura sarà sempre figlia dei propri tempi. Uno degli scostamenti maggiori dell’architettura contemporanea rispetto a quella moderna è proprio quella della costruzione effimera che nega luogo, forma e funzione ed uso dello spazio. Le produzioni di alcune grandi archistar sono spesso icone in macroscala che in grado di accogliere qualsiasi tipo di programma abitativo, commerciale, terziario etc.
Paradossalmente è quindi nell’uso dell’archetipo che si individua la vera natura dell’artefice. Anche osservando le strutture più complesse ed autoreferenziali tendiamo a scomporne gli elementi per ricondurre ciò che osserviamo a qualcosa di rassicurante già patrimonio della nostra memoria storica.
Ecco perché quando non si riesce a coglierne il significato ci si limita ad un prosaico mi piace o non mi piace, che intercetta esclusivamente il giudizio estetico dell’opera.
Tale giudizio estetico è inconsciamente legato al nostro concetto di topos cioè di forma evoluta dell’archetipo. Un caso emblematico è l’idea topologica che abbiamo della casa. Esistono test per l’infanzia che proprio sul disegno della casa fondano un’analisi psicologica del bambino.
Quando riconosciamo in una struttura il “topos” della casa immediatamente associamo a tale costruzione dei valori rassicuranti che spesso travalicano un corretto giudizio estetico: la zona di comfort visivo è tale che siamo disposti ad accettare anche riduzioni formali in favore “dell’onestà” concettuale del costruito.
Ecco perché ad orpelli e superfetazioni preferiamo un minimalismo visivo, funzionale alla comprensione stessa del costruito. La complicazione è in gran parte appannaggio di altri settori del nostro vivere: l’aspetto tecnico, strutturale e tecnologico lo diamo come assunto imprescindibile in una costruzione. Quello che è oggetto di giudizio è quasi sempre l’aspetto formale o preferibilmente topologico. Nell’architettura moderna il rapporto funzione-forma è un assioma assoluto: la pianta è uno strumento che permette di stabilire e controllare le relazioni tra questi due aspetti inequivocabili. Come detto, invece, l’architettura contemporanea dubita delle singolarità dell’edificio creando edifici icona, facilmente riconoscibili ma assolutamente asettici dal punto di vista della fruibilità e capaci quindi di accettare qualsiasi destinazione d’uso. Ecco che la forma non dipende più dalla funzione.
Prendiamo un esempio molto semplice. La forma iconica delle falde del tetto è spesso discussione e decostruzione: in alcuni casi, è invero interessante il riavvicinarsi dell’architettura contemporanea ai concetti archetipici tradizionali senza però il peso ridondante del citazionismo post-modernista del secolo scorso.
Come a dire, l’archetipo è li, prendiamolo quando ne abbiamo bisogno. Con buona pace dell’architettura moderna.
Breve Bibliografia
Renato De Fusco, Storia dell’Architettura contemporanea, Milano, Laterza, 1974
Bruno Zevi, Storia dell’architettura moderna, Milano, Einaudi, 1975
Rafael Moneo, L’altra modernità, Milano, Marinotti, 2012.
Luigi Prestinenza Puglisi, La storia dell’architettura 1905-2008, Licenza Creative Commons, 2013
m.s.
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