SPAZI CHIUSI VS SPAZI APERTI
Non ho mai amato l’open space come concetto assoluto. La pianta libera e gli spazi aperti verso l’esterno dell’abitazione li ho sempre trovati affascinanti ma poco percorribili come soluzioni prese tout court dimenticando la contestualizzazione, anche storica, dell’edificio. Ho visto per diversi anni cancellare in modo sconsiderato corridoi e spazi di disimpegno dalle abitazioni esistenti con il solo pretesto di recuperare lo spazio “sprecato” creato da questi ambienti.
E’ pure vero che in alcuni casi questi spazi erano fittizi e pretestuosi ma, spesso e volentieri, questi interventi di restyling hanno stravolto le planimetrie di abitazioni che invece affidavano all’entrata il compito di “filtrare” l’esterno, il “fuori”, l’ “alieno” con l’intimo ed il privato.
Certo, gli open space dei loft newyorkesi degli anni 80 erano fantastici. Nell’immaginario filmico di fine secolo il loft era quanto più di “design” si potesse immaginare, da Highlander a Black Rain solo per citarne un paio, il tema dello spazio aperto era la regola quando si volesse descrivere lusso e potere. Una tendenza che però si è tradotta spesso negli anni in un goffo tentativo di trasformare gli spazi “reali” in spazi “desiderati” senza tener conto della reale tipologia edilizia sulla quale si poneva mano.
Tutto è cominciato con l’eliminazione del “vestibulum”, il disimpegno d’entrata aggregandolo alla zona giorno che tale era diventata dall’accorpamento del salotto con la zona pranzo. Poi è toccato alla cucina essere inglobata nel living. La progettazione dello spazio privato ha lasciato spazio alle “suggestioni” en plen air.
Pezzo dopo pezzo la composizione della “casa all’italiana” si è disgregata nel desiderio di avere spazi sempre più “aperti” e fluidi. Tagliare ed eliminare volumi è stato il mantra dell’interior design negli ultimi anni: e se questa pratica può essere compresa nelle nuove progettazioni è anche vero che questo perde completamente di significato quando ci si approccia ad interventi sul costruito storico dove le metrature sono di per se stesse contenute.
Ma è nella “zona ufficio” che il concetto di “open space” si è rivelato fallace: a parte rivelarsi fonte continua di distrazioni per i lavoratori, si è trasformato, forzatamente, in una continua ricerca della ricostruzione della sfera privata con l’introduzione di pannelli, divisorie, elementi fonoassorbenti, dissuasori visivi atti a contenere lo spazio tra le scrivanie. La progettazione dello spazio privato lavorativo richiede un’attenzione non solo agli aspetti funzionali ma soprattutto a quelli metaprogettuali legati all’empatia ed al rapporto emotivo spazio-lavoratore.
Non sono contro gli “spazi comuni”: questi spazi, risolvono spesso zone di interconnessione altrimenti destinate ad essere semplici elementi di passaggio. Ma credo sia importante rivendicare il diritto alla definizione anche personale dello spazio, al di la dello spazio notte.
Il concetto di privacy è crollato sotto gli occhi di tutti durante l’emergenza covid: tutti a cercare di ritagliarsi un piccolo spazio dove spazio non c’era. Forse è il caso di ri-pensare alla fluidità del vivere quotidiano cercando, nel progetto, di identificare all’interno delle nostre abitazioni delle zone di sopravvivenza non solo dagli altri ma soprattutto dalla continua contaminazione sensoriale a cui siamo sottoposti.
La separazione forzata, i pannelli in plexiglas degli uffici pubblici e privati sono degli strumenti di cui nella normalità non dovremmo averne bisogno e che hanno creato ancor più un senso di distacco e insofferenza agli altri. Dobbiamo ricostruire la nostra socialità partendo da noi stessi. Dalla nostra sfera privata.
Trovare un posto dove riconnettersi con se stessi non significa chiudersi al mondo ma significa ritrovare il giusto equilibrio tra noi e “l’alieno” inteso come tutto ciò che a noi è estraneo. Troppe informazioni, troppi dati, notizie contrastanti e opinionisti da bar hanno generato in questo periodo delle forti dissociazioni cognitive: non siamo più in grado di discernere le notizie vere dalle false, incapaci dal capire se la fonte che stiamo ascoltando sia autorevole o inaffidabile.
Abbiamo bisogno di un riposo cosciente, da ritrovare in spazi personali e con cui rigenerare il nostro potenziale. La casa è lo specchio di coloro che la abitano; come un sistema vivente, ha bisogno di respirare, di crescere, di rinnovarsi, di evolvere con chi gli sta intorno. Dobbiamo riuscire a cambiare la casa “caverna” nella quale ci siamo insidiati nella casa “ritratto” che rispecchia il nostro vissuto esperienziale e che al contempo garantisce lo spazio necessario alle nostre attuali esigenze.
m.s.
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