L’ABITAZIONE TRA REALTA’ E IPERREALTA’
Il rapporto tra l’uomo e gli oggetti che lo circondano non è un rapporto definito e soprattutto definitivo, ma è un susseguirsi di relazioni complesse e spesso non prevedibili.
Il relazionarsi dell’uomo con l’ambiente è frutto di continue e graduali fasi: qualsiasi contatto con il mondo esterno viene filtrato primariamente dai sensi e in seguito da una serie di “barriere” che sono rappresentate dagli oggetti immediatamente a noi vicini. Questi oggetti, fino a pochi anni fa, erano principalmente manufatti e come tali altro non erano che proiezioni fisiche più o meno precise di un idea comune che avevamo di essi.
Anche oggi, degli oggetti che circondano la nostra vita, abbiamo sempre e comunque un’idea riguardo al loro peso, colore forma o dimensione: tali informazioni ci derivano chiaramente da tutte le esperienze pregresse che abbiamo avuto con essi.
Alla base di queste esperienze fondate su fatti empirici ci sono però le conoscenze derivanti dall’inconscio collettivo che rendono gli oggetti immediatamente riconoscibili; “ La vita è fatta soprattutto dagli oggetti, dagli utensili, dai gesti della maggioranza degli uomini: solo questa vita li riguarda nell’esistenza quotidiana, assorbe i loro atti e i loro pensieri” [1].
Nel momento in cui possiamo affermare di conoscere un determinato oggetto ci poniamo nella condizione di dialogare con esso: questo accade quando nella realtà l’oggetto fisico è rappresentazione di ciò che di esso abbiamo “costruito” nella nostra mente. L’ambiente immediatamente circostante, nello specifico la nostra abitazione, altro non è che un insieme di sensazioni visivo-tattili-olfattive derivanti dagli oggetti che potremmo definire per la loro costante presenza “quotidiani”: in tali oggetti noi riconosciamo materiali e forme comuni alla nostra esperienza.
L’abitazione, nella sua concezione classica, viene quindi ad assumere un ruolo preponderante nel rapporto con il mondo esterno perché attraverso di essa noi scegliamo di avere accesso a nuove forme di conoscenza: da noi dipende la sua permeabilità a materiali e forme diverse che possiamo scegliere o meno di introdurre nella nostra vita.
L’atto originario della costruzione della “casa” è una recinzione attorno al focolare: in questo consiste il significato originario dell’abitazione, atto non solo funzionale ma intimamente connesso alle sfere emotive dell’uomo.
Il muro può essere considerato l’archetipo tecnico capace di costruire un ambiente: “delimita” infatti lo spazio che racchiude, identifica un interno ed un esterno che separa ma al contempo unisce attraverso la soglia; elemento di separazione si presenta come un manufatto in grado di costruire uno spazio interno, dichiarando così una precisa volontà formale.
I secoli e le culture passate hanno ben saputo interpretare tali concetti grazie agli innumerevoli materiali offerti dalla natura e alle diverse tecniche costruttive.
Queste due componenti sono da sempre infatti intimamente collegate e la loro sinergia ha sempre costituito un alto atto creativo; infatti, qualsiasi costruzione anche se fatta di materiali semplici e primitivi è comunque un’entità complessa per scelta e loro trattamento: è cioè l’espressione di conoscenze tecniche derivanti da condizionamenti geografici e culturali legati a precisi contesti sociali [si pensi a quanto visto alla Biennale di Architettura di Aravena ad esempio].
La profonda mutazione occorsa negli ultimi vent’anni nel mondo del design è strettamente riconducibile ad una mutazione dei “limiti” un tempo imposti da barriere “reali” come per l’appunto l’abitazione. Oggi le porte d’accesso non sono più solo “fisiche” ma virtuali grazie agli innumerevoli device che ci circondano; i contenuti, prima materici, si sono fatti fluidi.
La realtà non è meno reale di quella fino ad oggi conosciuta ma di sicuro è molto più complessa e definita da sovrastrutture labili ed in continua mutazione: gli oggetti stessi sono contenitori di informazioni sovrapposte. Un telefono, un computer, una consolle contengono app, programmi e videogiochi che a loro volta sono contenitori di informazioni in divenire.
Volenti o nolenti, ad un substrato culturale fatto di certezze tangibili si oppongono, de facto, castelli virtuali ai quali chiediamo felicità: per molti la vita reale è meno interessante di quella iperreale.
E lo è a tal punto che c’è un pericoloso trend di pensiero legato al rifiuto della materia o del possesso dell’oggetto in sé. Questo è in parte causa della crisi del mondo del design così come lo conoscevamo fino agli anni 90.
A fronte di un vantaggio economico di propaganda si è insinuato un concetto che fa del rifiuto dell’oggetto materico il proprio credo a favore di beni immateriali percepiti però come reali, di fatto consegnando nelle mani di pochi, oltre alla ricchezza, il controllo assoluto dell’esistenza.
Quindi, così come un libro autorevole ha meno influenza di un post qualunque su Facebook e un tweet del “regnante” di turno rende inutile il confronto politico, ecco che anche l’abitazione perde il suo stesso significato di filtro in quanto ciò che è alieno ormai arriva direttamente dal suo interno ignorando il nostro stesso controllo.
Il paradosso è quindi immancabilmente la consacrazione del simulacro a sfavore dell’oggetto fisico che ha invece una propria storia ed identità precisa.
m.s.
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1F. Braudel, “Civiltà materiale, economia e capitalismo” in “Le strutture del quotidiano”, Einaudi, Torino, 1982
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