IL FASCINO DEL NON FINITO
Fra le nuove generazioni esiste un’attrattiva importante nei confronti dell’edificio abbandonato, del relitto industriale o della struttura fatiscente; grazie al web è possibile infatti reperire diverse fonti dove osservare questo fenomeno. E’ sufficiente cercare con Google la parola Urbex (Urban Exploration) per accedere a decine di siti dedicati all’argomento. La ragione di questo sentimento non è da ricercarsi solo nella qualità estetica rappresentata dall’oggetto degradato. E’ in verità un fenomeno che parte da lontano. Fin dai tempi del Piranesi, i ruderi, hanno esercitato, non solo sugli architetti, ma anche sui non addetti ai lavori, un fascino indiscutibile che li ha fatti spesso soggetti di rappresentazioni pittoriche e fotografiche.
La ragione non è nemmeno l’amore per la storia; è materia che interessa le masse più che altro per gli aspetti più pittoreschi. Ma, forse, proprio perché carenti di memoria storica si osserva la materia abbandonata con una sorta di comunanza esistenziale: l’ossessione che l’uomo ha nei confronti dello scorrere del tempo e nei suoi effetti su di lui e sul mondo circostante.
L’ESPLORAZIONE URBANA
Sebbene sia vero che gli edifici abbandonati e le case in rovina sono testimonianza storica e quindi della caducità dell’opera dell’uomo, al contempo, sono oltremodo rassicuranti perché indicano che qualcosa rimane anche dopo la scomparsa del loro artefice.
Come detto, la passione per i luoghi abbandonati tipica di alcuni particolari estimatori che su Instagram raccontano le loro scoperte non è cosa nuova: il fascino dell’antico in rovina si perpetua fin dal seicento dove, pittori ed incisori, estasiati dalle continue scoperte archeologiche diffusero le vedute dei ruderi romani. Queste furono spesso soggetto del concetto di “pittoresco” a seguito del Grand Tour che impegnava letterati ed artisti a partire dalla seconda metà del settecento in un ardito viaggio di formazione tra arte ed architettura. Al tempo i resti erano parte integrante del paesaggio agreste: nelle rappresentazioni pittoriche l’uomo era elemento di contorno ma sempre presente ed impegnato nelle proprie attività del tempo.
Nell’età contemporanea, per lo più, i monumenti antichi sono salvaguardati: negli scavi e nei musei l’uomo è ammesso solo come visitatore. L’ingresso è regolato e l’accesso è garantito dall’acquisto del biglietto. C’è quindi, nelle zone monumentali, un’interazione controllata e mediata che solo in alcuni casi consente una reale e personale “partecipazione” emotiva al contesto. Quello che manca indiscutibilmente è il fascino della “scoperta” che si ha invece quando ci si cala in quei luoghi, magari non così aulici, ma che, in quanto preclusi al pubblico, conservano il fascino del proibito.
Introducendosi di nascosto negli edifici abbandonati l’uomo moderno si è fatto artefice e testimone di una realtà perduta: l’esplorazione urbana è un fatto. Il fenomeno Urbex consiste nell’esplorazione proprio delle strutture costruite dall’uomo: edifici per lo più inusuali nei quali ci si “infiltra” in una sorta di speleologia urbana ante litteram. La fotografia, come detto, è lo strumento essenziale per documentare questi siti e il suo uso viene consacrato attraverso l’utilizzo degli strumenti social. Sicuramente è anche il rischio connesso al fatto di introdursi in luoghi “proibiti” a rendere tale pratica affascinante: l’esplorazione urbana non è una pratica nuova ma lo è la sua documentazione e la sua diffusione mediatica attraverso l’opera filmica. Sempre più spesso grazie alla possibilità di effettuare dirette con gli smartphone gli urbex documentano “live” quanto scoprono, diffondendo scariche di adrenalina ai propri follower e di fatto contribuendo ad influenzare il senso estetico comune.
L’ESTETICA WABI SABI
Il fenomeno dell’esplorazione urbana, se pur indirettamente, ha lentamente ispirato nell’interior design l’amore per il non finito, per la riscoperta delle tessiture murarie, per il rispetto dell’ antico senza disdegnare il costruito umile, semplicemente vecchio e sincero nella sua concezione originale. I lavori di ristrutturazione che troviamo pubblicati sulle piattaforme social o nelle riviste di architettura contemporanea sempre più spesso sono pervasi da questo sentimento.
Se il termine giapponese per rovina è Haikyo è nello wabi sabi che il design di interni contemporaneo ha trovato una fonte di ispirazione emozionale legata al culto dell’opera non finita e sospesa nel tempo.
La bellezza imperfetta, impermanente e incompleta è la sublimazione della continua imperfezione e quindi di un’anelata situazione di equilibrio in grado di ricreare una pace interiore lontana dal frastuono della novità consumista.
Da un punto di vista puramente concettuale è la sublimazione della legge della conservazione della massa dove “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”: ecco che la comunanza sopra descritta con la rovina si esplicita in un sentimento di serena malinconia e di passione per la materia.
La bellezza non risiede nell’assenza di difetti ma nell’unicità della costruzione grazie anche alla presenza delle stesse imperfezioni: difetti non voluti ma accidentali, testimonianza di un processo creativo che accomuna l’opera artificiale dell’uomo al paesaggio naturale.
L’erosione del fiume sul terreno è pari all’azione del lento depositarsi della materia su un setto murario: si lasciano i differenti livelli materici a testimonianza dell’opera progettuale. E’ un restauro conservativo non solo dei materiali ma anche delle emozioni che questi provocano nell’uomo.
Antitetico al fenomeno vintage (inteso come riproposizione di arredi contemporanei dal design d’epoca o invecchiati volutamente) la tendenza wabi sabi nell’arredo si esprime con l’utilizzo di mobili vissuti, autentici, anche imperfetti, ma sinceri nella loro situazione di degrado perpetuato nel tempo.
Non è un fenomeno universalmente accettato: dai più, l’imperfezione estetica, è vista come qualcosa da nascondere. Un muro in mattoni rovinato dal tempo è meglio che sia celato da una parete in cartongesso liscia e dai contorni regolari: soprattutto tra le generazioni che hanno vissuto le macerie come dolorosa esperienza bellica c’è un innato rifiuto nel considerare le stesse come testimonianza. Chi ha conosciuto il passare del tempo preferisce dimenticare ed occultare la testimonianza del deperimento della materia.
E’ tra i giovani progettisti che invece troviamo questa malcelata insoddisfazione dell’impeccabilità ad ogni costo: sia nel design che in architettura esiste una precisa volontà nell’utilizzo di materiali naturalmente imperfetti.
Da un lato rivelano un’attinenza ed una continuità con l’artigianato, dall’altro rivendicano invece la volontà di porsi come progettisti che trovano nell’autoproduzione low-cost la propria forma di espressione.
In questo articolo intitolato “I luoghi dell’abitare e gli stili dell’arredamento” troviamo l’elenco degli altri articoli dedicati ai diversi modi di vivere la casa.
m.s.
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28 Agosto 2018 11:45