IL RICHIAMO DELLA FORESTA
Da dove arrivi l’onda verde carica di piante ed elementi che definiscono il cosiddetto urban jungle o jungle style (trend ormai imperanti in ogni rivista di architettura e interior design) sarà il tema trattato in questo breve articolo dedicato al rapporto tra uomo e natura. Senza scomodare la filosofia che ha trattato questo rapporto in modo approfondito riconducendolo ad un complesso sistema di valori esperienziali, in architettura l’elemento naturale è stato sempre oggetto di sfida, ostacolo con cui cimentarsi ed elemento con il quale dialogare. Insomma, la natura esiste in quanto tale se l’uomo ha piena coscienza si sé come altro rispetto ad essa.
Partendo da questo presupposto e a seconda del rapporto con l’ambiente circostante, i diversi stili architettonici, sono stati definiti in armonia o in antitesi, integrati o alieni alla natura del luogo. Nel corso dei secoli la cura del verde cittadino ha rappresentato per le civiltà più progredite la manifestazione di un senso estetico caratteristico delle caste più colte e della religione in quanto connessione con il mondo della natura e del divino. Per centinaia di anni l’equilibrio sociale dovuto allo scambio di risorse e protezione città-campagna garantirono l’esistenza stessa del verde come cintura naturale al di là delle mure cittadine.
Fuga dalla città
Ma l’abbandono dalle campagne della storia recente ed il conseguente riversamento delle masse nei centri abitati determinarono il successo di un nuovo mondo produttivo in cui il “benessere economico” della città operaia si palesò come risposta, alle crisi cicliche della vita contadina legata ai ritmi della natura. I limiti urbani, non più definiti dalle mura difensive, vennero segnati dai viali di circonvallazione al di la dei quali si trovavano gli impianti di produzione. La “fuga in campagna” divenne una pausa dal mondo cittadino riservata alle elitè nobiliari dell’ottocento; solo in seguito la moderna borghesia intravide nelle residenze di campagna un modo per rivendicare il proprio status sociale. I disagi della vita agreste erano per lo più un male necessario solo nel periodo delle vacanze.
Nonostante i piani regolatori delle grandi città di fine ottocento e primi del novecento prevedessero ampi spazi da destinare al verde pubblico, per ovvie ragioni di sfruttamento del suolo dalle città vennero banditi gli spazi privati verdi relegandoli solo in alcuni casi nelle periferie lontane dai centri nevralgici come nel caso delle new town inglesi del secondo dopoguerra. La natura lussureggiante era riservata ai palazzi nobiliari o ai giardini botanici delle fortunate città che potevano permetterseli. Nelle città italiane parchi e giardini pubblici, quando slegati dai toni monumentali degli spazi celebrativi (salvo rare ma pregevoli eccezioni) nel migliore dei casi erano spazi di risulta, fazzoletti di terra, spesso abbandonati a loro stessi. Lo stesso movimento moderno interpretò, in modo assai diverso l’apertura e la chiusura all’ambiente naturale rispetto al costruito: uno degli aspetti più contraddittori è stato il falso mito dell’esistenza dell’artificiale come elemento antagonista del mondo naturale. Per tutto il secolo scorso, da un lato l’architettura organica e dall’altro l’international style (seppur non necessariamente in antitesi), sottolinearono che non si poteva prescindere dal contesto ambientale. Ma al di la del dibattito architettonico poco venne fatto a livello di pianificazione generale per le aree verdi delle città.
Le origini dello Jungle Style
Negli anni seguenti, una nuova consapevolezza sociale, ambientale ed urbanistica produsse nei cittadini per lo più un generico “desiderio di verde” sia pubblico che privato. Interesse formalizzatosi assai diversamente: in mirabili progetti legati alla riscoperta degli orti botanici (quello di Padova ad esempio), nel rinnovato trasporto del design per ciò che è “natura” (l’ikebana ed il flower design), nell’”invenzione” degli orti cittadini e dei boschi verticali.
Per quanto riguarda l’architettura degli interni piante ed elementi naturali hanno periodicamente fatto la loro comparsa in base alle mode e alle esigenze abitative del momento: il richiamo della foresta, in diversi modi, ha avuto i suoi effetti su arredi, texture e complementi di arredo. Lo stesso stile etnico, che si ripropone fin dagli inizi del ventesimo secolo, trova le sue radici in questo ancestrale conflitto tra uomo e ambiente circostante.
La paura dell’ignoto e dell’ambiente ostile tipico delle regioni africane si è manifestato negli interni tramite la raccolta di cimeli durante il periodo coloniale, nell’uso dei legni esotici nei mobili midcentury fino all’utilizzo delle carte da parati con texture afro negli anni settanta.
Così come negli ultimi anni il verde è divenuto elemento strategico nelle città, divenendo parte integrante, seppur a costi non propriamente accessibili, di certa architettura costruita, anche negli interni, piante, colori della natura ed elementi alieni alla cultura occidentale hanno trovato il loro spazio nell’interior design. L’eco luxury delle green tower verticali, dubbia panacea della sostenibilità ambientale nelle città contemporanee, trova il suo alter ego più pop nello urban jungle o nel neo bucolico di alcune tendenze d’arredamento che caratterizzano la casa in stile jungle.
QUALI SONO GLI ELEMENTI CHE CARATTERIZZANO LO STILE JUNGLE STYLE?
Di fatto chiamarlo stile è piuttosto improprio. E’ piuttosto un rinnovato desiderio di una vitalità perduta vittima del minimalismo degli anni novanta. La jungle fever è l’antitesi di ciò che era stato eletto ad unica divinità: il rigore monocromatico dalle linee assolute e perfette. L’aria che si respira in questi ambienti invece è tutt’altro che neutra: le imperfezioni, i colori ed i vegetali di ogni genere creano ambienti mutevoli che da un lato soddisfano l’interesse per l’incertezza e dall’altra soddisfano l’ancestrale necessità del prendersi cura del prossimo. Fosse anche solo un ciuffo di basilico.
LA CASA IN STILE URBAN JUNGLE
Cosa troviamo in questi ambienti? Carta da parati in stile tropicale, cornici con all’interno foglie di piante esotiche, i mobili possono essere in rattan e bambù oppure si possono tentare interessanti variazioni con mobili vintage. I legni hanno tonalità calde come l’iroko, il palissandro ed il wengè. La casa jungle è off-limits (o quasi) per tutti i materiali sintetici; quindi niente plastiche o derivati non riciclabili. Per quanto riguarda i colori parliamo di tutte le tonalità del verde in contrasto con i colori caldi che useremo per evidenziare gli oggetti di design ed i complementi in genere.
E’ sicuramente uno stile “difficile” da perseguire senza cadere nel facile citazionismo: mettere un portacandela dorato a forma di scimmia non è più così imbarazzante come ai tempi nei quali il minimal imperversava, ma il consiglio è quello di limitarsi, quando possibile, al solo utilizzo dell’elemento vegetale ed a qualche pezzo ricercato. Lo stile urban jungle o jungle style che dir si voglia, infatti prevede in abbondanza piante di ogni genere purché di origine tropicale: piante di grandi dimensioni, a foglia larga e bisognose del loro spazio vitale. Le più utilizzate sono la Monstera delicisosa, La strelitzia nicolai (Uccello del paradiso), la Kentia, la Sansevieria ed il Ficus Elastica. Chi ha poco spazio può sempre ripiegare sulle piante grasse.
Il pezzo forte: Andando un po’ oltre le poltroncine in rattan o vimini di grandi dimensioni abbiamo il divano Pratone disegnato da Sturm per Gufram (1971)
Arte e design: Antonio Ligabue, Henri Rousseau (Il sogno)
In questo articolo intitolato “I luoghi dell’abitare e gli stili dell’arredamento” troviamo l’elenco degli altri articoli dedicati ai diversi modi di vivere la casa.
m.s.
MArco
16 Marzo 2020 19:20citazione ‘La casa jungle è off-limits (o quasi) per tutti i materiali sintetici; quindi niente plastiche o derivati non riciclabili’
Il pezzo forte ‘pratone’ ?????
Per il resto adoro i vostri articoli
MishaC4D
16 Marzo 2020 19:59Grazie Marco!Hai assolutamente ragione. Diciamo però che la provocazione della scelta del pezzo forte rientra nel concetto del “quasi” che ho sottolineato volutamente. Seriamente, vista la maggiore attenzione nei confronti dei materiali riciclabili ed ecosostenibili attendiamo una versione totalmente “green”del Pratone! Non si sa mai.