RIDEFINIRE IL MINIMALISMO
Minimal in inglese, ovvero minimale, (der. del lat. min?mus «minimo»), “il meno”, “più piccolo di”. Dal punto di vista etimologico Minimal significa qualcosa che stabilisce o costituisce il minimo o “i minimi”. Ma quali sono i significati comuni della parola “minimal”? Il minimalismo è trend stilistico, processo mentale teso all’abolizione del superfluo o concetto astratto di difficile applicazione?
Probabilmente un architetto ben informato vi dirà che il minimal non è uno “stile” ma un particolare modo d’essere e di vivere gli spazi abitativi e lavorativi. Un artista vi ricorderà l’importanza del “segno” concettuale per spiegarne il significato, mentre un visual designer vi spiegherà come, nelle illustrazioni o nella grafica, il minimal rappresenta l’eliminazione di quanto non necessario alla comprensione dell’immagine.
Un ecologista invece, vi dirà che il minimalismo significa vivere in modo semplice, frugale, evitando sprechi inutili e ricorrendo il più possibile a prodotti che possano rientrare nel concetto di economia circolare.
In realtà nel parlare comune abbiamo abusato di questo termine per decenni, travisando completamente il suo significato originario in nome esclusivamente di una “pulizia” formale. Il segno architettonico cosiddetto “minimalista” ha eliminato a partire dalla seconda metà del XX secolo quanto non era più necessario a soddisfare la ricerca dell’assoluto, inteso come pura elaborazione concettuale del “vivere” uno spazio. Un’attività progettuale tesa quasi a cancellare possibili emozioni “alternative” alla pura contemplazione degli spazi ed alla sacralità del “gesto” dell’architetto.
Una funzionalità legata ad oggetti e spazi elevata a divinità. Ma non una divinità giocosa e geniale come è stata la musa per Munari, Mari, Castiglioni e per molti dei designer del dopoguerra; ma una divinità severa, nera mietitrice di quanto inutile allo scopo. Il gusto estetico si è quindi plasmato negli anni, rincorrendo l’eliminazione del superfluo, perdendo però la sua forza concettuale nel terreno fertile ma stagnante della moda e del design minimalista.
Dagli anni ‘90 del secolo scorso abbiamo avuto autorevoli esponenti come Zumtor, Tadao Ando o Pawson che hanno celebrato la parte più vera del concetto minimalista ovvero non la privazione in se ma l’esaltazione del necessario. Un concetto molto nordico: quello dell’Higge, che esalta quanto rende felice senza il ricorso agli eccessi.
UN MINIMAL PER TUTTI I GUSTI
Il minimal nella sua accezione più mainstream è diventato anche sinonimo di “povero”: una rincorsa del prezzo che ha generato, nel mondo della produzione del mobile un taglio netto dell’aspetto decorativo. Modello industriale che ha visto nascere una miscellanea di prodotti lowcost con stili tra il “moderno”, il nordico ed il giapponese; prodotti di bassa qualità venduti non solo nei vari mercatoni del mobile ma anche in negozi non specializzati come i magazzini del fai da te.
Minimal versus minimalismo
Abbiamo quindi un minimal di pensiero, un minimal formale ed uno di comodo. Quello di pensiero è quello delle origini, legato ai movimenti artistici dell’avanguardia del 900. Forse il più sano e prolifico in quanto momento di reale rottura con la tradizione culturale del periodo. Quello formale è quello che ha fatto proprie tali ragioni concettuali e le ha riversate nel design, nella moda e nel costume in un’opera di globalizzazione del minimal.
Quello di comodo è il più sfacciato: è quello professato non solo da chi ha poche idee al riguardo del design di interni ma anche da chi giustifica tale scarsità di visione complessiva in nome di “un rigore formale all’insegna dell’ordine e della pulizia”.
E’ il trend che vi farà comprare l’albero di Natale minimalista, creato con due rametti incrociati made in Cina o che vi farà scegliere solo colori neutri per i vostri vestiti, la vostra auto, la vostra casa ed il vostro animale da compagnia.
Ad oggi il termine minimal più che diverse sfumature ha quindi numerosi significati profondamente diversi. Ma quindi, ad esempio, cosa resiste ancora di vero e puro riguardo al minimal nell’arredamento degli interni? Possiamo ridefinire questo concetto che non è solo il vecchio adagio “less is more”?
Minimalismo & Good Design
Volendo limitarci all’arredamento esiste un “Minimal Cheap” ed un “Luxury Minimal”. La discriminante per l’utilizzo di questo termine dovrebbe essere che quanto meno nel prodotto sia insito il concetto di “Good Design”. Abbiamo del “Good Design” nel momento in cui quanto progettato incontra i bisogni, della persona che ne fa uso, dei suoi simili e del pianeta nel quale viviamo.
Miminal inteso quindi come minor utilizzo di combustibili fossili nella produzione dell’oggetto, minor impatto nel ciclo di vita del bene progettato, minor spreco nell’imballaggio, minor utilizzo di sostanze nocive all’ambiente e minor impatto negativo sulla vita di chi ha prodotto e di chi utilizzerà quello stesso bene. La pulizia del design è l’espressione formale di questi valori.
Quindi si, può essere “minimal” un prodotto Ikea da pochi euro tanto quanto una sedia Kartell in polipropilene riciclato al 100% o una preziosa sedia da ebanisteria realizzata però in legno certificato FSC.
Gli stilemi della “casa minimal” sono ben noti: pulizia delle forme, colori neutri, minimo utilizzo di variazioni di colori e materiali, pochissime decorazioni. E’ l’espressione del bonton borghese: ispira armonia e tranquillità. Non c’è spazio per la sperimentazione spaziale delle origini perché gli ambienti devono anche esprimere sicurezza economica e stabilità. E’ la casa delle ultime generazioni legate ad un modello di consumo ereditato dal secolo scorso.
Non di solo minimal vive l’uomo
In questo articolo avevo parlato di massimalismo ovvero l’abbondanza di particolari, materiali e stili che si contrappone concettualmente al minimalismo. Ma anche in questo caso è una questione di “stile”.
La generazione Z preferisce altro. Il Cluttercore, ovvero la tendenza anti-minimal celebrata nei video di Tik Tok dove il disordine diviene simbolo di creatività e, sembra un ossimoro, se si pensa che è un fenomeno di massa, “anticonformismo”. E’ un modo per denunciare la volontà di possedere quanto rende felici senza alcun timore reverenziale per regole e gusti radicati nel passato, minimal compreso.
m.s.
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